Il desiderio di esplorare il mondo, di avventurarmi, si è manifestato fin da quando ero piccola. Mia madre mi ha sempre raccontato che bastava che amici di famiglia mi invitassero a fare una passeggiata o a trascorrere un weekend con loro, che io rispondevo sempre sì, senza paura o vergogna. Ma ero proprio piccola piccola quando non vedevo l’ora di esplorare gli spazi al di fuori delle quattro mura di casa, senza essere scortata dai miei genitori!
Dicono che abbia ereditato lo spirito del viaggiatore e anche quello un pò ribelle dal mio nonno paterno, Andrea. Rimasto vedovo in giovane età, non si era più accompagnato e aveva continuato a coltivare il suo desiderio di viaggiare da solo, in giro per l’Europa, al tempo perlopiù in autobus.
Viaggiare è una delle esperienze più belle e interessanti che si possano fare durante la nostra vita. Fare nuove esperienze, esplorare posti nuovi, conoscere persone diverse. Tutto questo fa parte del fascino di un viaggio, ma non solo. Ci sono viaggi che possono cambiare la vita, altri che ti fanno cambiare il modo di vedere le cose, e altri ancora che ti turbano e creano disagio. Altri, invece, sono i prodromi di ciò che arriverà più avanti…nel mio caso una vita in espatrio!
Viaggiamo, alcuni di noi per sempre, per cercare altri luoghi, altre vite, altre anime – Anais Nin
Desiderio di esplorare e esplorarmi.
A 19 anni, stavo seguendo il corso di Laurea per Interprete-Traduttrice a Firenze. In quel periodo, si stava sviluppando sempre più in me, il desiderio di “mettermi alla prova” facendo un viaggio in solitaria. Mettermi alla prova significava testare le mie capacità di adattamento, volermi sentire indipendente, capace di cavarmela da sola. Volevo capire fino a che punto potevo arrivare o spingermi in una situazione non comune, fuori dalla mia quotidianità, e esplorare le mie reazioni emotive.
Un giorno, mi presentai di fronte a mio padre con la sicurezza e la determinazione di chi sa cosa vuole ottenere. Gli comunicai che avrei voluto fare un soggiorno alla pari, a Londra, per due mesi, prima dell’inizio del nuovo anno accademico e, nel frattempo seguire un corso per approfondire la mia conoscenza dell’Inglese.
Mio padre era stupito ma forse, conoscendomi, non più di tanto, magari un pò preoccupato. Nonostante ciò, mi sostenne nella decisione e mi aiutò a trovare la famiglia desiderosa di fare questo scambio.
La partenza e l’arrivo.
Sacco in spalla, con dentro lo stretto necessario più libri, quaderni e macchina fotografica, una Olympus OM10, partii per quella che a me sembrava una grande avventura.
Il viaggio iniziò con un grande ritardo dell’aereo, causa maltempo, che da Milano doveva portarmi a Londra. Arrivai a notte fonda e pioveva, come spesso accade a Londra.
Il taxista non riusciva a trovare la strada e io, che credevo di andare a vivere non lontana dal centro, iniziai a rendermi conto che ciò mi era stato comunicato non era proprio l’esatta verità.
Ero un pò intimorita dal taxista che continuava a dirmi che si era perso e non trovava l’indirizzo che gli avevo dato, il che non era di buon auspicio. Alla fine, seppure con il cuore in gola, arrivai alle 3 di notte, sana ne salva, a casa della signora con cui avrei vissuto per i due mesi seguenti.
Quando mi sono persa.
Il giorno dopo il mio arrivo, mi informai come raggiungere la scuola dove avevo lezione. Era chiaro, a quel punto, che la famiglia dove avrei lavorato alla pari, era a circa 1 ora dal centro di Londra e che, tutti i giorni, avrei dovuto prendere un bus e poi la metro per andare a scuola e che ciò avrebbe un pò impedito i miei movimenti serali/notturni. Dopo la prima mattinata di lezioni di Inglese, decisi di fare un giro nei dintorni della scuola e verso sera presi la metro per rientrare a casa. Pioveva ancora, molto insistentemente, e ormai era buio. Non si vedeva niente fuori dal finestrino del bus ricolmo di gente.
Ansia da solitudine.
Scesi dall’autobus, convinta di essere arrivata a destinazione. Mi resi subito conto che non ero alla fermata giusta e nella mappa della città che avevo con me, la zona che dovevo raggiungere non era contemplata. Il luogo di periferia in cui ero capitata, era, ad un primo sguardo, inospitale e poco raccomandabile. Cominciai a chiedere ad alcuni passanti le direzioni per recarmi a casa ma nessuno conosceva la strada nè aveva suggerimenti. Iniziai a preoccuparmi, non esistevano ancora i cellulari e quindi non potevo avvisare la padrona di casa. Dopo varie perlustrazioni e innumerevoli richieste ai passanti, bagnata dalla testa ai piedi, riuscii a salire sull’autobus, aspettato a lungo, e a trovare l’abitazione di Jenny e della sua bambina di 8 anni, Sarah. Ero esausta più dalla tensione che dalla stanchezza!
La telefonata con mio padre.
Quella sera chiamai i miei genitori dal telefono di casa di Jenny, con una “collect call” ovvero chiamata a carico del destinatario. Appena sentii la voce di mio padre iniziai a piangere, scossa da quanto avvenuto. Dissi a mio padre che non ero più sicura di voler restare a Londra. Lui, con tono apparentemente fermo, mi rispose che era un’esperienza che avevo desiderato tanto e che non dovevo rinunciare al primo ostacolo. Aggiunse, vedrai che fra poco tempo, non vorrai più ritornare in Italia. Dopo molti anni, mi confessò che quella notte non dormì. Aveva fatto quello che riteneva giusto ovvero sostenermi per farmi “superare la prova” e per darmi fiducia ma il suo sonno, quella notte, fu molto agitato perchè in cuor suo avrebbe voluto dirmi, torna. Ero ignara che quello era il primo piccolissimo passo per un futuro di esperienze all’estero molto più avventurose e rischiose!
L’espatrio è desiderio di esplorare?
Questo racconto che riguarda un fatto avvenuto molti anni fa, potrebbe far sorridere di tenerezza. Ma erano tempi in cui i genitori non lasciavano facilmente le figlie girare da sole per il mondo. Nel mio cerchio di amicizie ero l’unica ad avere la libertà di poter inseguire i miei desideri e sogni. Sono stata fortunata.
Oggi, se ripenso a quell’esperienza che mi permise di consolidare la fiducia in me stessa e di continuare nei miei percorsi avventurosi, ringrazio mio padre per l’opportunità che mi diede e per aver osato. Aveva capito che doveva “lasciarmi andare” e intuito che ero alla ricerca, forse di me stessa, e che potevo iniziare quel cammino solo allontanandomi. Avevo bisogno di confrontarmi con il mondo fuori dalla provincia e soddisfare la mia curiosità.
Le motivazioni che portano a scegliere di andare via dal proprio paese sono molteplici, e le mie hanno cominciato a manifestarsi chiaramente fin da quella esperienza a Londra. E’ importante, però, comprendere ciò che ci spinge a uscire dalla nostra quotidianità, oltre al desiderio di esplorare e alla voglia di cambiare. Potrebbe essere anche un desiderio di fuga, il non voler accettare la realtà, oppure la necessità di allontanarsi da un ambiente che sentiamo soffocante. Sono ragioni profonde che vale la pena analizzare…ma di questo ne parlerò in un’altro articolo.
“Una volta ho letto che la scelta di emigrare nasce dal bisogno di respirare. È così. E la speranza di una vita migliore è più forte di qualunque sentimento.” – Fabio Geda
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